di Alessia - Gli Arditi Storditi: ecchallà!
Non ho fatto foto. Ciò che ho vissuto è stato raccolto, catalogato in ricordi e parole. Ho assorbito come una spugna colori, suoni, profumi, parole, emozioni e sensazioni tattili… e li ho lasciati fluire dentro e fuori di me, in rilassata beatitudine. Questo, e molto altro, è stato il mio Marocco, la mia prima volta in Africa.
Un viaggio che mi ha disorientata per la sua straordinaria varietà. Non credevo fosse così bello.
D’istinto un giorno di gennaio ho desiderato appartenere ad esso, alla proposta di Stefano che non conoscevo. Così è nata la mia prima spedizione canoistica extra europea: “senza guardare” (come diceva la mamma di Daria Bignardi per tutte le cose che le riuscivano meglio!).
Siamo partiti per primi io e Stefano, tre giorni dopo ci hanno raggiunto gli altri quattro… Lucia, nota per l’efficienza organizzativa, lo ha deciso praticamente il giorno prima della partenza!
Al decollo da Pisa ho versato lacrime d’emozione ripensando al tempo in cui per me, il volare, voleva dire non andare in vacanza, ma la famiglia: mio nonno (pilota militare), mio padre (sempre in giro per il mondo per lavoro).
La vacanza. Marrakesh. Le siepi di rossi ibiscus e verticalità di bouganville; lindi viali carichi di palme ed alberi d’arancio; i giardini di Majorelle; l’acciottolato e i suk; il primo thè alla menta; donne diversissime nella loro varietà di costumi; lo slalom tra sfreccianti motorini, biciclette e carrettini trainati da cavalli, asini e muli; scorci di maiolica negli ingressi dei riad; portoni riccamente decorati; le mani mie e di Stefano ricamate d’hennè; le esotiche melodie dei muezzin (in dieci giorni ho visto solo UNA persona pregare per la strada sul suo tappetino); il profumo di spezie; tajine aux pruneaux; le alici fritte mangiate per strada!!! Djem el Fnaa è stato bello perdersi attorno a te, un po’ meno la prima notte…
Essaouira. Il gelido vento; la bianca medina cintata custode di luminosi cunicoli ai piedi dei palazzi; i ficus elastica giganti; il sentirmi nuda con i vestiti addosso (sopra ai pantaloni il casto “sacco” prendisole che era di mia nonna, uno spettacolo di donna blu!); un appartamento con terrazzo panoramico bellissimo; gatti fiduciosi ovunque; le triglie e la frittura di pesce; il vino rosato e il thè.
Immessuane. Il viaggio con il taxi del terrore (tra velocità e sorpassi folli, scaccolamenti minuziosi e l’essere costantemente tenuta sotto controllo attraverso lo specchietto laterale); un delizioso alberghetto rosa arroccato sul promontorio (senza chiavi nelle serrature!); la vista su una profonda spiaggia rossa; le onde e la mia prima volta con la tavola da surf; i dolori terribili alla schiena; una breve ma intensa storia d’amore con un cucciolotto di cane; la notte oceanica e un timido geco.
Rientro a Marrakesh. Il gruppo degli Arditi Storditi prende il suo assetto definitivo: Alessia, Fabio, Lucia, Michele, Patrick, Stefano.
Fabio: silenzioso e discreto, fotografo di stupefacenti particolari, abilissimo nello spiazzare tutti con esilaranti battute. Alla ricerca del braccialetto d’argento perfetto. Lucia: dolce selvatica creatura dai "grandi" piedi, dotata di un feeling soprannaturale con gli animali. Michele: il Maestro dallo sguardo che porta lontano, soprattutto a non stare seri troppo a lungo. Patrick: poliedrico direttore e orchestrante di questa vacanza e spesso delle mie linee in fiume. Stefano: simpatico socio dei primi giorni, zingaresco parlatore all’infinito, fumatore attacca vizio (mannagg’atté!).
Ha così inizio la seconda parte di questa avventura ed insieme a Pascal, l’organizzatore autista, Hassan il cuoco cantante e Ken, il giovane stagista francese di Pascal, partiamo alla scoperta dei fiumi marocchini.
Il viaggio. Ourika. Il primo fiume; l’emozione e un po’ di delusione; le passerelle da trasbordare; le passerelle non trasbordate dove ho sbattuto il casco (solo io che ero la più bassa del gruppo…); imbarchi con bambini molesti che cercavano di spingerti in acqua senza paraspruzzi e pagaia; cambiarsi davanti alla moschea del paese (non ha prezzo); la ricerca infruttuosa di un posto riparato per fare pipì (in Marocco… c’è sempre qualcuno che osserva); pausa forzata per guasto meccanico al furgone di Pascal; thè alla menta e ripasso di meccanica: cuscinetti a sfere ed il giunto cardanico; il miglior tajine mangiato nel peggior locale dove ho avuto modo di andare in bagno (un VI+ quasi impraticabile); cantico notturno multilingue di esausti viaggiatori "allah allah ya babaaa"; arrivo al campeggio; il tendone dei russatori; notte insonne al chiar di luna con vista lago.
Oued el Abid. Tempesta di sabbia con vento contrario; chi ha visto le tartarughe?; canta che ti passa; oleandri a pelo d’acqua; arrivo al tappo-imbocco del lago Bin el Ouidane; periglioso trasbordo per evitare l’ostruzione melmosa putrescente; pic-nic; benvenuti alla Gites d’etape de la Chathedral (come sentirsi in Tibet, senza esserci mai stati, quando si è in Africa); incontro con la troupe televisiva marocchina; il primo bagno turco di gruppo; l’incontro con tre italici dei -modestamente- millecinquecento unici al mondo lanciatori di base jumping; un coro ben riuscito (direttore Her P. Consalvo Karajan); “il pastis non fa male” così disse qualcuno prima di rovinare giù dalle scale; che paura se Kunta Kinte si ubriaca!!! (omaccione della troupe televisiva degli astemi bevitori e fumatori a sbafo); la camerata dei non russatori!
Asif Melloul. Sui defender alla conquista dell’imbarco; operazioni ingegneristiche condotte in tutta sicurezza per liberare il sentiero da un masso; l’incontro con un simpatico ragno gigante (che sembrava una scimmia); “Signorina, un sorriso per il pubblico, prego!”; si scende sul primo bel fiume in compagnia del gommone di Pascal; foto ricordo sotto la cascata (“la nostra a Moraduccio sul Santerno è più bella” così disse il Maestro Michele); profumo di resinose; “odo le scimmiotte far festa, e le gallinelle lontan dalla riva che ripetono il loro verso”; arrivo allo sbarco con pranzo e vita balneare; passeggiate; ispezione alla segheria abbandonata; caccia alle rane; la cena in ripresa diretta (“ma per carità fate sparire dalla tavola tutto l’alcool!”); chiacchiere a tavola ed altri ospiti bevitori self-service (“te ne devi annaaa”); la grappa di fico.
Ahanesal (tratto medio). Esaltazione di volume e onde; "basta telecamera e riprese tv, non siamo divi!"; un pomeriggio di tintarella nella curva sbagliata del fiume (che ha arricchito uno dei giorni più belli), la ricerca della riva giusta per lo sbarco; alpeggio tra i pastori di capre; la cacca di capra; la caghetta di Ken; chiacchiere in cima alla rossa montagna tra falci argentate di fiume; cena a lume di candela nella tenda berbera; spaghetti (perfetti!); canti e balli italo-berberi attorno al fuoco; misteriose creature donatrici di ponfi; tra le tende e le stelle.
Ahanesal (tratto basso). Riprese dall’alto; le partenze a freddo non mi donano!; onde e ondine; l’incontro tra liquidità color latte e simbolismi fallici del torrente di vetro; "quanto dev’essere lunga una discesa in prima?"; in solitudine dentro a strette accoglienti gole; la cascata di pioggia dalla grotta di stalattiti; fiori e cactacee; “tuuu non puoi passare” disse il tappo melmoso ai rassegnati canoisti; la chiatta; le performance di Patrick al traino in canoa; in viaggio verso le cascate di Ouzud; cala il sipario sul giorno.
Cascate di Ouzud. Thè alla menta e succulente in fiore; trattasi di acqua o fogna a cielo aperto?; i bazar ed i freak bazar; cani tristi e soli; il caldo soffocante; arditi tuffatori nel gran bleah marron; le scimmie; Lucia tra le scimmie (Tarzan era nulla al confronto); un furgone gigante tutto per noi; raccolta di due autostoppisti; anche questo viaggio ad un certo punto finisce.
Marrakesh. L’armata ri-invade la dimora di Pascal e Hafida; cena sottotono con nostalgia dei manicaretti di Hassan; trekking urbano alla ricerca della tipica discoteca araba; pudici e censurati balli di gruppo; finalmente buona notte!
Il rientro. Tartaruga sul tetto; pipì di tartaruga sull’attrezzatura; a momenti Lucia non parte; che bello viaggiare così; cercare il tramonto nel finestrino del vicino; musica di notte; riposini ad alta quota; la compagnia si scioglie tra saluti compiti e saluti calorosi; in viaggio verso casa.
Così è finito il viaggio degli Arditi Storditi, un Gruppo eterogeneo di persone che ha saputo godere insieme a tutto tondo in un compendio di chiacchiere, risate, storie, discese in fiume, gran assortimento di grappe, canzoni, animali e zampette di animali, carne viva e morta, tanta verdura e frutta secca.
Con loro ho cantato canzoni in italiano, inglese, francese, arabo e berbero, mentre scendevo in canoa, in compagnia attorno ad un falò o per lunghe ore dentro al furgone. Ragazzi “Vi Amo”, come dice Lucia, perché mi avete permesso di cantare per tutto il tempo che ho voluto!!!
Con loro ho camminato all’interno di un paese dove mio padre visse e lavorò per anni (a costruir dighe); immaginando di transitare negli stessi luoghi dove i suoi occhi videro, dove l’eco conserva ancora il suono della sua giovialità e la gente, da qualche parte, la sua memoria.
Con loro sono stata condotta in un hammam, e racchiusa nel suo ventre con Lucia abbiamo riso come infanti, distese semi nude sul pavimento, mentre una silente donna berbera ci ha fatto rivivere i primi attimi di vita, quando il tuo corpo non è ancora tuo ma appartiene alle mani che ne hanno cura.
E poiché ogni inizio ha una fine, essa non può che appartenere ad Hafida, la nostra affascinante ospite dalla incontenibile favella, che l’ultima sera mi ha vestita come una principessa regalandomi una stanza segreta dove custodire i nostri discorsi e i miei desideri. Ecchallà!!!
Alessia
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